Retroscena del 6 agosto, festa della nazione boliviana. Il 30 luglio, “riunione di emergenza” nella scuola per preparare la festa della Bolivia. Lì il direttore della scuola spiega che per decreto già il 2 agosto (“giorno del contadino” che commemora la riforma agraria, che concede il diritto alla terra a tutti gli abitanti del paese, indigeni inclusi, ed elimina il latifondo), bisogna issare la bandiera in ogni casa e istituzione. E così, obbediente alle disposizioni nazionali, il 2 alla mattina sto penzolando all’inferiata della finestra di casa per mettere il tricolore boliviano, quando passa Rolando e mi dice: “Devi metterle l’asta, hermanita…” “Ma non ce l’ho…” “Qualsiasi bastone va bene”. Obbediente anche al mio vicino di casa, cerco nelle cose vecchie della Parrocchia e provvidenzialmente trovo due bastoni vecchi come me, secondo le indagini del Carbonio 14… Sego nella misura conveniente, lego le bandiere (una per la casa, una per la Mensa) e poi… con difficoltà ma ce la faccio: riesco a issare le bandiere. Arriva dopo poco la zia cuoca e mi dice: “Quasi non vengo a cucinare… sono caduta mentre mettevo la bandiera nel tetto”. Anche lei in equilibri instabili per amore della patria… Veramente il patriottismo è uno sport estremo.
I ragazzi si sono impegnati tutta la settimana provando danze ed esercizi fisici, che adesso stanno mostrando alla comunità: cerchi infuocati, piramidi… e poi: il momento atteso: le danze. I ragazzi dell’ultimo anno vestono splendidi costumi da Caporales: ricamati meravigliosamente, di un colore marrone/ocra che vestono benissimo. E’ stato uno sforzo: hanno affittato questi vestiti belli ma cari, quasi un saluto alla scuola che presto termineranno.
Nella mattinata abbiamo avuto la celebrazione, nella quale quest’anno mi è toccato predicare. Ho parlato della libertà: quella conquistata 193 anni fa e quella che oggi c’è, o non sempre c’è. Ci siamo poi spostati alla piazza dove le autorità originarie tenevano oegogliosamente nelle mani la bandiera tricolore. Stranamente, nessuna wiphala: la bandiera dei popoli nativi che adesso è anche simbolo nazionale. E’ come che la festa della patria si è fermata a prima di Evo Morales. Non l’avevo mai notato prima. Certo, la nostra genete del campo è notoriamente tradizionalista: non cambia con facilità certi rituali. Si inneggia a Simon Bolivar (da cui il nome del paese) a José de Sucre, principali protagonisti della liberazione. Sì, davvero è una festa che è rimasta con i toni patriottici del 1800…
E pensare che con l’Indipendenza dalla Spagna le cose non sono migliorate, anzi: in molti paesi d’America del Sud la situazione è peggiorata per molti gruppi indigeni. Chi è salito al potere era la aristocrazia e oligarchia criolla: in Argentina ha favorito uno sterminio dei gruppi indigeni della Pampa, in Bolivia si è perpetuato il latifondo e la semischiavitù degli indios… Solo dopo più di un secolo la riforma agraria ha permesso la proprietà della terra a coloro che vivono da sempre nel territorio boliviano, con il prezzo però di essere considerati “contadini” e non più “popoli indigeni”. Ci sono tante cose che si possono discutere ai governi boliviani degli ultimi 193 anni… ma oggi è giorno per celebrare, e la nostra gente lo fa a modo suo: bevendo chicha, condividendo il pasto, sfilando solennemente davanti all’altare della Patria, suonando e danzando. Se lo fanno, è pur vero che si sentono parte di questa nazione, e si sentivano tali anche prima di Evo Morales, primo presidente indigena d’America.