Pilota pure la tua vita, piccolo nostro!

Abrahán, l’anno che siamo arrivate a Vilacaya, non era che un bambino di 6 anni, con molti carichi pesanti da portare sulle sue ancora gracili spalle. Era arrivato da poco tempo nel paese, insieme al papà e al fratellino di 5 anni. I genitori si erano separati, e la figlia più grande era rimasta con la mamma in Argentina, mentre i due maschietti erano ritornati in Bolivia con il papà.

Solo che in Vilacaya non ci si riesce a guadagnarsi la vita, e molte volte i due fratellini rimanevano soli, più o meno controllati e aiutati da una zia, dal bisnonno e (alcuni anni dopo) anche dalla nonna, mentre il papà andava fuori, in cerca di lavoro.

In realtà, ai due bimbi non mancava cibo, né vestiti: a livello materiale erano in buone condizioni, ma mancava tutto il “contorno” che fa crescere bene e sereni dei bambini: una mamma che dia un bacio quando il bimbo si addormenta, o lo coccoli quando cade e piange perché si è sbucciato un ginocchio.

E’ così che Abrahán si è assunto il ruolo di genitore, più precisamente di madre attenta verso suo fratello Gabriel. Ma siamo arrivate noi. E sebbene all’inizio i loro sguardi erano un poco sospettosi e seri, in poco tempo, hanno imparato a bussare alla nostra porta, certi che avrebbero trovato braccia aperte che li accoglievano con affetto.

E’ diventato così un appuntamento fisso per diversi anni: il “toc toc” alla porta verso le 09.00 am del sabato, giorno in cui non c’è scuola, gli abbracci affettuosi, la colazione, i film visti al pc (con il tempo, loro stessi hanno iniziato a comprare i dvd per vederli nella nostra casa), il pranzo, alle volte un altro film, e poi i saluti e i visi felici che ritornavano alla loro casa.

Poco per volta siamo diventate partecipi della loro vita, delle loro delusioni e dei loro sogni: Abrahán non ha mai smesso, un solo giorno della sua vita, di desiderare l’incontro con la mamma, che ricorda appena. Bambino molto intelligente, è stato sempre il primo della classe. E’ diventato adulto a 7 anni, e la vita non è stata clemente verso questo bambino, dai tratti fini e aggraziati, gli occhi scuri dallo sguardo profondo, che emanano luce quando sorride.

Ci stringeva il cuore quando andavamo in Argentina per le nostre riunioni in gennaio, e i due bimbi ci salutavano con lo sguardo triste, ma poi ci accoglievano con un abbraccio stretto stretto al ritorno.

Quest’anno Abraham ha compiuto 15 anni, e smanettando con il cellulare, ha trovato in Facebook i parenti materni che vivono in Cochabamba. Si è messo in contatto con la nonna e la zia, e dopo le vacanze invernali, in luglio, è partito per quella città, si è iscritto a una scuola locale, e sogna due cose, fondamentalmente: che la mamma venga a visitarlo e, dopo le superiori, possa prepararsi come pilota di aerei.

E’ venuto a trovarci, prima di partire: ragazzo di poche parole, con la voce grave, da uomo, ci guarda con i suoi occhi scuri e profondi e ci dice: “Volevo ringraziarvi per tutto l’aiuto che ci avete dato quando eravamo piccoli”. Ci siamo abbracciati, emozionati e lasciati.

“Abraham sa quello che vuole e insegue i suoi sogni fino ad ottenerli” dice suor Maria Elena, che si sente a pieno diritto la nonna dei due ragazzi.

Sì, siamo sicure che ce la farà: incontrerà finalmente sua mamma, magari anche senza saperla abbracciare, ma con una gioia profonda nel cuore, e diventerà un ottimo pilota di aerei.

Si, piccolo nostro: pilota pure la tua vita e vola in alto, come sempre lo hai saputo fare

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