Nel giorno della festa della Madre nostra, la Madonna Consolata, vi condivido alcuni pensieri sulla consolazione.
La consolazione è prima di tutto una persona: Gesù Cristo, la consolazione di Dio all’umanità. E’ dalla relazione con Gesù, vera consolazione, che io posso sperimentare la consolazione e quindi portarla ad altri. Consolata per consolare.
CON-SOLARE: dalla sua etimologia latina, stare con chi è solo. La consolazione è un movimento di avvicinamento all’altro, che ha bisogno di una presenza amica. Un malato, un anziano, una persona sofferente, un popolo dimenticato, indifeso, disprezzato.
E’ chiaro anche qui che la consolazione è una questione di relazione. E una relazione non è mai teoria, bensì si costruisce sempre con la presenza, con atteggiamenti, con gesti, con parole. Cioè: la relazione di consolazione è possibile se io ci sono, sono presente. Lo stare è molto importante. Una relazione ha bisogno di tempo. Per esperienza posso affermare che i miei quasi 10 anni di presenza, di esserci in Vilacaya, rendono possibile la mia presenza come una presenza di consolazione.
Perciò, stare come missionari e missionarie della Consolata, con il popolo Yanomami, minacciato da garimpeiros e dallo stesso governo, è una presenza di consolazione. In Somalia, la gente diceva: “Fino a quando ci sono le suore, siamo certi che Dio non si è dimenticato di noi”. Lo dicevano persone mussulmane. La consolazione non ha limiti di religione, è un linguaggio, un atteggiamento, un’esperienza integrale che va al di là dei confini umani.
Le sorelle in Somalia sono state fino all’ultimo, fino alla fine, fino al martirio. E le sorelle rimpatriate dopo il martirio di suor Leonella, hanno sempre nutrito la speranza di poter ritornare ad essere consolazione per il popolo somalo. Credo che suor Marzia, fino al suo ultimo respiro, lo ha desiderato ardentemente.
La consolazione è fatta di gesti concreti, semplici e quotidiani: un saluto, un abbraccio, una visita, un interessarsi di una persona. La consolazione è a portata di tutti, e tutti i giorni. Ed è proprio nella quotidianità che nascono e crescono gesti e gesta di consolazione: donarsi per i fratelli e sorelle carcerati, camminare insieme con fiducia alla montagna per chiedere la pioggia tanto sperata, condividere il pane del Cielo nell’Eucaristia e la mensa come fratelli e sorelle, e si possono elencare tanti altri gesti, in un crescendo, fino al dono totale di sé, dicendo le stesse parole di Gesù in croce: “Perdono, perdono, perdono”.
Abbiamo detto che la consolazione è Gesù, e la mia relazione con Lui genera in me consolazione. Una consolazione che non rimane per me, per soddisfare e pacificare il mio cuore. La Consolazione diventa annuncio, nella relazione di consolazione io annuncio Cristo, vera consolazione. Ma qual è il contenuto di questo annuncio? Un Dio che mi benedice sempre. Un Dio che mi perdona e mi ama. Allora il mio essere consolazione si concretizza nel benedire i miei fratelli e sorelle, nel perdonare ed amare, e indicare che la ragione del mio essere consolata e consolatrice nasce dalla relazione con Gesù.
E’ come piantare un albero, curarlo, annaffiarlo, vederlo crescere. E’ come uscire dalla chiesa, che sia essa una gher, una capanna o una costruzione medievale, e insieme ai miei fratelli e sorelle portare il sorriso di Dio ad ogni creatura.
Allora la consolazione diventa una luce, forse piccola e tremante, ma che nel buio della notte del dolore, ha una forza speciale sulle tenebre della disperazione. Questa è la nostra missione. Siamo sicuri che questa è la strada, perché abbiamo nostra madre Maria, consolata e consolatrice, che ci precede e ci indica il cammino.
Suor Stefania, mc