Il Vangelo è quechua

Quest’anno è stato proprio evidente: con tante ore di catechismo con i numerosi gruppi, è stato scientificamente dimostrato che il Vangelo è quechua.

Cosa significa? Forse ve l’avevo già scritto in passato… ma qui è molto immediato il Vangelo: parlare di pecore smarrite e seminatori, è ciò che la gente, i ragazzi, vivono nel quotidiano. Per introdurre il discorso del perdono di Dio, inizio:

“Avete pecore?”

“Siiii”.

“Quante pecore avete?”

“Venticinque”  “Centoventi”  “Quarantaquattro”

“Sapete, Gesù racconta di un pastore che aveva cento pecore, e una si perde… vi è mai capitato?”

“Siiii”

“E cosa fate?”

“Lasciamo le altre e andiamo a cercarla”

Et voilà: la parabola è già incarnata nella vita. Il resto, il riferirsi a Dio Padre, è ormai un gioco da ragazzi.

Provate a fare questo discorso a un bambino che vive in appartamento a Torino, poi mi dite se sa che la pecora è un animale lanoso a quattro zampe…

Ma c’è di più: sono io che imparo il Vangelo dalla mia gente, dalla loro vita. Sono di origine contadina, ma loro molto di più, e la cultura quechua è simile a quella di Gesù. Imparo perché vedo il Vangelo incarnato nella vita contadina delle Ande.

E andando un po’ più in profondità: la cultura quechua ha tanti valori condivisi con Gesù. Per esempio, l’autorità in carica è in servizio, così come dice Gesù: “Il più grande tra voi, si faccia servo di tutti”.

Però… Gesù va anche un po’ più in là della sua cultura: i suoi: “Ma io vi dico…” dicono di andare oltre. E allora, “l’occhio per occhio, dente per dente”, regola comune in Palestina come in Vilacaya, lascia il posto al “porgi l’altra guancia”. Niente da fare, con Gesù è andare sempre oltre…

Intanto, vivo di rendita con il Vangelo quechua, che mi permette di presentare il Vangelo di Gesù come un testo facile e concreto per i miei ragazzi…

 

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