Donna con la gonna (o i pantaloni)

Sono reduce da una maratona intellettuale non indifferente, che mi ha fatto produrre ben sei monografie su diversi temi per il mio corso di Antropologia.

Una di queste ha per titolo: “¿Es una mujer de pollera o de pantalón?” (è una donna con la gonna o con i pantaloni?) una domanda che si ascolta spesso, e che forse anch’io ho fatto, quando, parlando con la gente di una donna, per capire di chi si sta parlando, il primo indizio che si cerca (o si da) è come si veste.

Eh si, qui usare la gonna dalle tante pieghe (la pollera, leggi: poliera), con relativo cappello borsalino, due trecce, il grembiule o la camicia ricamata (a seconda se è festa o lavoro) oppure usare pantaloni (con relativa treccia unica, o coda) è una scelta importante.

Siamo abituati ad identificare la cultura andina con la donna “de pollera”, segno che l’abito fa il monaco, o almeno ti fa appartenere a un determinato gruppo. Ma oggi le cose cambiano, come dappertutto… e la cultura andina non è una realtà congelata.

Per la monografia ho fatto un po’ di domande alle donne. Sorprendentemente, la “mujer de pollera” che ho intervistato mi ha detto che si veste così perché nella sua comunità mormorano molto (vi ricordate il saggio detto: “Il paese è piccolo, la gente mormora!”) se vedono una donna in pantalone. Ma che lei potrebbe anche passare all’altra opzione, e che non sempre ha usato la pollera. Dimostrazione chiara che le cose cambiano, che nessuno è congelato in certi schemi

Oggigiorno, in ogni caso, l’usare roba etnica (in realtà, era il vestito delle donne spagnole del secolo XVII… ma che è stato “rubato” dalle donne indigene dell’altipiano, dandole un altro significato) è anche un’immagine politica: il governo dimostra, attraverso le donne “de pollera” nel Parlamento che le cose sono cambiate, che gli indios tanto disprezzati adesso guidano la nazione…

Ma dalle interviste appare che c’è ancora discriminazione: non ai livelli di un tempo, quando una signora delle nostre parti, che stava viaggiando a Cochabamba, è stata costretta a togliersi la pollera se voleva viaggiare in bus… Dicevamo, c’è ancora, e forse in seno alla stessa famiglia: ragazzi che si vergognano della loro madre “de pollera”. Nuove generazioni che seguono la moda globalizzata (cioè: che trovi al mercato di Revello in Piemonte come in quello di Tres Cruces in Bolivia…) e forse relegano i vestiti etnici ai momenti folklorici…

E allora, lasciamo che il tempo stesso ci dica cosa sarà della “mujer de pollera” e della “mujer de pantalón”…

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