Dio, che paura!

Un giorno, parlando con il nostro parroco – potosino e quechua 100% – gli chiedevo se non c’è un rito ancestrale che in qualche modo comunichi l’idea di perdono e di riconciliazione, visto che il sacramento della confessione non entra nelle pratiche religiose della nostra gente. “Hermana” mi risponde “la nostra gente ha una religione dell’Antico Testamento!”.

Queste parole mi sono risuonate per molto tempo nella mente e nel cuore, anche perché da subito,arrivando a Vilacaya, ci siamo rese conto che era urgente far conoscere il volto d’amore di Dio alla nostra gente: troppa era la paura verso santi e divinità che si arrabbiavano e che bisognava tranquillizzare con preghiere e offerte. La cosa è che poi, iniziando il corso di Antropologia, il mio prof Fernando mi stuzzica tutte le volte, chiedendo che i miei lavori si arricchiscano con il punto di vista della fede e della pastorale. E come si dice in Argentina: la fame si è incontrata con la golosità.

Questo spazio, oggi, è una riflessione ad alta voce sul tema della paura di Dio. Lo inizio con due, tre ricordi vivi: qualche anno fa una signora è venuta in Chiesa a Vilacaya per lasciare una statuetta di san Giacomo, un santo molto venerato nell’area andina. “Che rimanga qui, per favore: ha fatto ammalare mio marito!“. Ed è rimasto parcheggiato nella Sacristia fino ad oggi…

tipico altarino in onore di San Giacomo, come quello che la donna ha lasciato in chiesa

Un altro episodio è di un uomo amico della comunità, che veramente ha molta fiducia nell’intercessione dei Santi, e per questo sempre fa celebrare Messe, compra fiori e candele, e “passa” la festa di vari santi. “Ho sempre ricevuto molte grazie dai santi”, e ne fa un elenco che veramente sembra una lista di “grazie ricevute”. Ma un giorno mi ha detto: “Devo fare attenzione, perché la Madonna può diventare cattiva…

La Madonna cattiva… sembra così distante dal nostro modo di sentire… oppure no? Ho fatto un po’ l’esame di coscienza della mia relazione con Dio, e vi assicuro che ci ho trovato anche la componente della paura. Paura di Dio. Che si arrabbi, che mi giochi brutti scherzi. E la paura… crea distanza e poca fiducia. Che sono una persona debole nella fede, lo riconosco. Ma vi sfido a fare lo stesso esame di coscienza, e penso che molti – credo – riconosceranno che la paura è un ingrediente della propria relazione con Dio.

Anche la Bibbia dice che Mosé, Abramo, ed altri amici di Yahweh, sentirono paura alla sua presenza. Forse è normale, per la incommensurabile distanza che ci separa. Ma c’è una paura che si può superare, credo, più superficiale, meno esistenziale… ma si supera a parole? O con la esperienza? E come si fa esperienza dell’amore di Dio? (perché san Giovanni dice che dove c’è amore, non c’è paura…). A parte estasi mistiche che il Signore riserva a qualcuno… credo che siamo noi stessi che possiamo essere ponti per far toccare alla nostra gente l’amore di Dio. Una volta, uno sguardo colmo d’amore di una sorella, mi ha fatto intuire come Dio mi guarda e mi ama…

E allora, gente, la sfida è grande: una Chiesa, cioè noi, che amiamo gli altri, che li guardiamo con amore e facciamo far fare a loro esperienza dell’amore Dio. Molto alto? Molto semplice, perché si vive ogni giorno in piccoli gesti. Come faceva la Beata Irene, che ha lasciato segni profondi per i piccoli gesti quotidiani: dare una banana con un sorriso a un bambino, accogliere con pazienza una nonna, insegnare con dolcezza nella scuola… Ma alle volte la nostra Chiesa, cioè noi, sembra più un ufficio burocratico, un’istituzione con requisiti vari, dispensatrice di sacramenti e documenti… ma di questo vi parlerò la prossima settimana… (to be continued…)

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