A modo nostro

Domenica 25 agosto abbiamo inaugurato il pozzo finanziato dalla onlus “La Lokomotiva”, dopo 5 mesi di ritardi, ma, finalmente, ce l’abbiamo fatta!

Nella riunione della comunità, il 20 agosto, c’è stata la distribuzione dei lavori:

“Signora Emiliana, tu penserai alla danza”

“Signor Remigio, tu organizzi i flautisti”

“Signor Niccolò, tu cerchi i suonatori per la zampogna” (= flauto di pan)

Le persone quasi non annuivano, rimanevano impassibili. Eppure tutti hanno compiuto il loro compito.

“Io mi offro per aiutare nella cucina” dice Marina.

“Io penserò a preparare il programma dell’atto civico” dice il Corregidor.

In meno di mezz’ora l’inaugurazione era pronta.

Prevista per le 13.00 nel luogo della perforazione, me ne vado con calma alle 13.10, pensando: “Non si sente nessun rumore, sicuramente non ci saranno ancora”.

Infatti, solo c’era il mio charanghista, elegante, con il suo altoparlante e microfono wireless, e, naturalmente, il suo charango, pronto per animare l’evento.

Alla spicciolata arrivano, ma ci mettiamo quasi due ore per iniziare.

La mia gente ha una formalità particolare negli atti civici, a cui sono ormai abituata. Ma stavolta mi sorprendono: è come se si mostrassero senza veli, senza censure, dimostrano il meglio di sé e il bello della loro ricca cultura.

Prima di tutto, l’offerta alla Pachamama. La parete della casetta del pozzo era già stata aspersa dal sangue di un agnello.

Dopo parole di circostanza delle autorità e mie, ecco che dal fondo appaiono: vestite con molta eleganza, arrivano le donne sventolando bandiere bianche, e dietro arrivano tre uomini, suonando il flauto, anche loro vestiti con molti dettagli coloratissimi.

Naturalmente, ci fanno danzare: non si può dire di no alla mia gente… meno male che questi balli sono realmente elementari, anche per una nullità come me…

E poi, l’atto di inaugurazione: ci sono tre anfore di terracotta colme di chicha. Dobbiamo scaraventarle su una pietra all’entrata della casetta del pozzo. Io ne rompo una, le altre due il Corregidor e il presidente del Comitato dell’acqua. Tagliamo il nastro, e possiamo entrare.

Tutti vengono a ringraziare, e per diversi giorni continuano a farlo. Il giorno dopo un signore anziano ci regala un vino in ringraziamento.

Ma per ringraziare, già il giorno della festa ogni famiglia ha portato un cibo, e facciamo l’ aktapi: ognuno serve a ciascuno, e avviene il miracolo della moltiplicazione. Tutti rimaniamo stracolmi di tanto cibo prelibato.

“Scusate, ma dobbiamo andare: le sorelle viaggiano stanotte…” dico al Corregidor.

“Ma adesso c’è un piatto nel salone del Corregimiento!”

Insomma, era solo l’aperitivo quella pentola colma di cibo…

“Mi dispiace, dobbiamo andare, ma domani ce lo portate a casa”

Rimangono soddisfatti. L’importante è capire cosa una cultura prevede. Non si può rifiutare un cibo, perché è considerato un disprezzo a chi te lo offre. Ma puoi mangiarlo in un altro momento. Infatti, l’indomani arriva una pentola colma di squisita carne, patate al forno, mais e oka (un tubero dolciastro tipico delle Ande).

Mentre assaggio i deliziosi piatti (e mentre le donne continuano a riempire la pentola…) sento il sapore intenso, un po’ piccante, del cibo: mais, quinua, patate… i frutti che la Madre Terra offre alla mia gente. Mi guardo intorno: ormai li conosco tutti per nome. I bambini sono cresciuti – alcuni li abbiamo visti neonati – so la storia di gioie e dolori di molti.

Frattanto, gli zampognari iniziano a suonare, e due signori mi invitano a ballare. Faccio una smorfia che non li convince, e già mi ritrovo nel circolo a ballare con loro. Calpestano la terra secca con i loro sandali, e devono schivare le spine del terreno mentre ballano. Ma tutto sembra così armonico e senza ostacoli.

Mi sento una di loro, anche se ho la pelle chiara, un po’ bruciacchiata dal sole… ma la cosa buona è che non mi vedo, se non allo specchio, che uso poco. Cosicché quasi dimentico di essere una gringa… e sembra che la mia gente anche, alle volte, un po’ se ne dimentichi…

A modo nostro, gioiamo per il dono dell’acqua, del pozzo, della generosità degli amici italiani. A modo nostro festeggiamo con musica, cibo, senza preoccuparci del vento che ci schiaffeggia e del sole che brucia.

 

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